Come eravamo... Per non perdere le radici
Verso il 1948 la Diocesi di Norcia aveva 35 alunni nel Seminario e un parroco residenziale nella maggior parte delle 101 parrocchie del territorio. Di pari passo con le nuove libertà, progrediva anche la vitalità delle associazioni cattoliche: in particolare la Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC): organizzata a livello cittadino, svolgeva attività di fede, cultura e spettacolo nella Sala Teatro San Girolamo. Di grande aiuto per i numerosi poveri della città fu poi, in quegli anni, la Pontificia Opera di Assistenza (POA), che distribuiva di che mangiare o vestirsi e veniva anche in soccorso delle più elementari necessità di ogni genere. Per le elezioni politiche del 18 aprile 1948 furono mobilitate tutte le forze di ispirazione cristiana sotto forma di "Comitato Civico" e ciò contribuì decisamente, a Norcia come in tutta l'Italia, alla vittoria della Democrazia Cristiana, dopo una durissima competizione con il "Blocco del Popolo" che vedeva coalizzati comunisti e socialisti. Nello stesso anno una folta schiera di giovani della GIAC nursina partecipò a Roma, a Piazza San Pietro, al grande incontro dei trecentomila "Baschi verdi" con il Santo Padre Pio XII. Nel 1949 la venerata immagine della Madonna Addolorata, che non era mai uscita dalla sua Chiesa, fu portata con la " Peregrinatio Mariae" in tutti i paesi della Diocesi, ovunque accolta con entusiasmo e devozione. Tornò poi solennemente a Norcia accolta da tutto il popolo con il Vescovo Mons. Settimio Peroni.
Ma come era Norcia nel 1950? Il Comune contava allora circa 8.000 abitanti di cui 3450 nel Capoluogo (2770 dentro le mura e 680 nella circostante campagna) ; circa 600 abitanti a Castelluccio, 500 a San Pellegrino, 500 a Campi, 370 ad Ancarano, 260 a Savelli, 200 ad Agriano. Le frazioni meno popolate erano Aliena e Biselli con circa 60 abitanti ciascuna. Fanno certamente impressione queste cifre relative alle frazioni se guardiamo la realtà attuale; ma basta riflettere sul grande attaccamento al paese della gente di allora,sulle grandi difficoltà di spostamento e sul fatto che non era ancora cominciato il grande esodo di uomini e giovani soprattutto verso Roma, che faceva tutti sognare.
L'agricoltura e l'allevamento del bestiame nel 1950 erano ancora condotti da un esercito di contadini con piccolissimi appezzamenti di terreno e un asino, o un mulo, o una vacca da lavoro o poco più. Pochi avevano bovini da latte ed era considerato ricco chi aveva un branco di pecore o un appezzamento di marcita irrigata dal fiume che oggi nessuno vuole più. I diritti di uso civico su pascoli e boschi erano essenziali e perciò strenuamente difesi dai frazionisti, anche con liti infinite e dispendiose, tra diverse comunità. Ma la scesa in campo della Coltivatori Diretti cominciava a far capire il valore dell'unità per poter poi rivendicare giusti diritti. Le case dei contadini stavano quasi sempre nei centri abitati, Norcia compresa, con stalla e cascina facenti corpo unico con l'abitazione: non faceva meraviglia trovare in cucina le galline che razzolavano sul pavimento. D'inverno non era un dramma ritrovarsi gelata l'acqua in camera sulla catinella per lavarsi la faccia. Nelle case delle frazioni e in quelle più umili di Norcia, per l'assenza di fognatura e spesso di acquedotto sulla pubblica via, non c'era il gabinetto (con i conseguenti disagi), né l'acqua corrente in cucina, ma quella della conca raccolta alla fonte pubblica e attinta con lo sgumurello.
Oggi, nelle nostre case ristrutturate, con cucina brillante di igiene e tecnologia, doppio bagno, ricco arredamento e riscaldamento anche ad oltre venti gradi: se i vecchi muri, rimasti ancora in piedi, tra quelli ricostruiti, potessero parlare, forse ci racconterebbero storie ancor più drammatiche di quelle sopra descritte; ma ci darebbero anche, e per fortuna, sublimi testimonianze di autentica vita cristiana nelle famiglie e di umana solidarietà verso il prossimo.
Italo Iambrenghi
da L'Eco - mensile dell’Unità Pastorale di Norcia
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