San benedetto, scritta Arciconfraternita, Santa Scolastica

Ma chi era Benedetto da Norcia?


San Benedetto da Norcia:

  • padre del Monachesimo occidentale;
  • gigante della “cultura” occidentale e del primato della “persona”;
  • patrono degli ingegneri, degli architetti e degli speleologi;
  • patrono principale dell’Europa

San Benedetto da Norcia resta il “pilastro” portante dell’odierna civiltà occidentale e, soprattutto, della nostra cultura, sviluppatesi grazie alla silenziosa e millenaria azione del movimento monastico occidentale cresciuto e sviluppatosi proprio facendosi guidare dalle parole, dalle lezioni e dai modelli contenuti dalla Regula Benedicti.

E quando si dice “monachesimo” si deve intendere, nella sua totalità, l’intera grandissima famiglia di monaci, monache, oblati, oblate e di tutte le altre “figure” organiche alla vita cenobitica che si sono succedute nei secoli (come ad esempio: i conversi; i confratelli; i maestri d’opera ed i costruttori; i massari; e così via).

Tutti hanno portato il loro “umile” contributo per consentire la concretizzazione del sogno benedettino, facendo propria (ed introiettandola) la Regula Benedicti e, quindi, applicandola con intelligenza e “discrezione” dopo averla declinata sia per latitudine che per genere/tipologia.

Ma chi era Benedetto da Norcia?

Per rispondere adeguatamente a questa doverosa domanda desidero prendere in prestito le parole di tre giganti della “materia” che si sono dedicati a Lui quasi totalmente: Gregorio Magno, Ildegarda di Bingen e Léo Moulin.

Gregorio Magno nel volume II dei Dialoghi, interamente dedicato alla vita di san Benedetto da Norcia, lo presenta con queste mirabili parole:

«Parleremo oggi di un uomo veramente insigne, degno di ogni venerazione.
Si chiamava Benedetto, quest’uomo, e fu davvero benedetto di nome e di grazia. Fin dai primi anni della sua fanciullezza era già maturo e quasi percorrendo l’età con gravità dei costumi, non volle mai abbassare l’animo verso i piaceri. Se l’avesse voluto avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del mondo, ma egli li disprezzò come fiori secchi e svaniti. Era nato da nobile famiglia nella regione di Norcia.
Pensarono di farlo studiare e lo mandarono a Roma dove era più facile attendere agli studi letterari. Lo attendeva però una grande delusione: non vi trovò altro, purtroppo, che giovani sbandati, rovinati per le strade del vizio.
[...] era ancora in tempo. Aveva appena posto un piede sulla soglia del mondo: lo ritrasse immediatamente indietro. Aveva capito che anche una parte di quella scienza mondana sarebbe stata sufficiente a precipitarlo intero negli abissi. Abbandonò con disprezzo gli studi, abbandonò la casa ed i beni paterni e partì alla ricerca di un abito che lo designasse consacrato al Signore. Gli ardeva nel cuore un’unica ansia: quella di piacere soltanto a Lui. Si allontanò quindi, così: aveva scelto consapevolmente di essere incolto, ma aveva imparato sapientemente la scienza di Dio
[...]».

Come si può vedere per Gregorio Magno – monaco benedettino, prima che Papa - non servono date, né dettagli che abbiano una prospettiva spirituale ed esemplare; sembra quasi che non voglia zavorrare con modesti elementi rappresentativi propri del “tempo degli uomini” per Benedetto che è un “gigante” per la civiltà e della Chiesa che si può confrontare solo con l’eternità e con il “tempo di Dio”...

Ildegarda di Bingen [1098 – 1179] – energica badessa del monastero di Bingen; santa e dottore della Chiesa; autrice di testi importanti – dedica all’Uomo di Dio parole e valutazioni importanti:
«lo Spirito Santo operò nel beato Benedetto luminosissimi doni e mistiche ispirazioni al punto che la sua mente ardeva dell’amore di Dio, e nelle virtù era al par dell’aurora che rutilante annuncia il sole, né mai si lasciò persuadere e portare a termine opera alcuna che fosser secondo i piani del diavolo. A tal punto poi era penetrato dalla grazia dello Spirito Santo che in alcuna opera sua nemmeno per un istante era privo della virtù dello Spirito Santo. Fu pure un fonte sigillato che effuse la sua dottrina nella discrezione di Dio, giacché egli non fissò il saldo ed acuto perno della sua dottrina né troppo in alto né troppo in basso, bensì al centro della ruota: sicché ciascuno o debole o forte che sia vi può attingere convenien-temente a secondo della sua possibilità. Questa ruota poi che si volge con movimento circolare è la potenza divina con cui Dio ha operato negli antichi santi a cominciare da Mosè, che diede al popolo la legge di Dio; e con la quale continuò ad operare a una altezza tale che la gente comune non lo poteva raggiungere.
Il beato Benedetto poi attinse la sua dottrina dalla virtù del timor di Dio e la espose con grandissima mitezza; con amor di padre insegnò i precetti di Dio, nella carità eresse il muro di santità della Regola ed in purezza e semplicità si tenne lontano da ogni pompa e delizia del secolo terreno da pellegrino senza stabile dimora. Scrisse la sua dottrina in timore e pietà, in carità e castità, e per questo nulla vi va aggiunto o sottratto, poiché nulla vi manca, in quanto essa è stata composta e portata a perfezione in Spirito Santo
».

Léo Moulin [1906 – 1996] era un importantissimo sociologo belga che, benché fosse dichiaratamente ateo, dedicò tanti anni della propria vita allo studio appassionato ed amorevole di san Benedetto, della regola benedettina e del movimento monastico occidentale nel suo complesso.
In una delle sue molte opere dedicate all’argomento ebbe a sottolineare, con approfondite argomentazioni ed esempi, che:
«i monaci sono all’origine, inconsapevole ed involontaria, di un movimento economico e sociale così profondo, così diverso e vasto che l’evoluzione del Medio Evo sarebbe difficilmente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione. In questo senso, San Benedetto e con lui i benedettini sono i “padri dell’Europa” nel senso pieno del termine, sia da un punto di vista storico che sociologico. [...] ai monaci è stato anche riconosciuto il ruolo di consiglieri tecnici, erano infatti espertissimi nella macinatura del sale, nella metallurgia, nella escavazione del marmo, nel vetro: sarebbe più facile dire in quali campi, supposto che ve ne siano, i figli di San Benedetto non sono stati degli iniziatori, dei promotori o, almeno, l’equivalente, efficace, generoso e disinteressato, della nostra assistenza tecnica [...]».

San Benedetto oggi!

Infine, il più prolifico scrittore benedettino contemporaneo, il monaco Anselm GRÜN ci ricorda con energia che:
«in una epoca di grandi cambiamenti e mobilità in tutti i sensi qual è la nostra, San Benedetto da Norcia e il suo messaggio – lavoro e preghiera, ricerca della giusta misura,“stabilità” ovvero restare dove/quello che si è [oggi si parlerebbe di “radici”.] [...] - possono sembrare cose di un mondo ormai lontano, scomparso per sempre.
Eppure Benedetto è in grado ancora oggi di dire tante cose agli uomini anelanti ad una vita autentica.
Facendosi compagno e guida verso una vita più serena e felice già qui e ora [Nel linguaggio del monachesimo benedettino viene utilizzata più efficacemente la versione latina di: «hic et nunc»] può condurci tutti a vivere più intensamente il Vangelo
».

Una biografia ha, comunque, bisogno di DATE

I gemelli Benedetto e Scolastica sono nati a Norcia, probabilmente nel 480, da Eutropio Anicio (discendente dall'antica famiglia senatoriale romana degli Anicii e Capitano Generale dei romani nella regione Nursina) e da Claudia Abondantia Reguardati (contessa di Norcia che sarebbe morta quasi subito dopo aver partorito i due gemelli). Sembra che il padre avrebbe fatto voto di destinare alla vita monastica i due bambini, che erano oggetto di notevoli ed amorevoli cure. Attorno ai dodici anni Benedetto e Scolastica vennero inviati a Roma per compiere gli studi classici, accompagnati dalla fedele nutrice Cirilla. Rimasti sconcertati dalla vita disordinata e caotica che trovarono a Roma, Benedetto decise di abbracciare la vita religiosa che lo portò ad un peregrinare nel Lazio ed a vivere anche una esperienza da eremita. Scolastica, invece, rientrò a Norcia per entrare in un monastero posto nelle vicinanze; successivamente raggiunse Benedetto prima a Subiaco. Quando Benedetto realizzò nel 529 l’Abbazia di Montecassino Scolastica lo imitò fondando a Piumarola l’omonimo Monastero (posto a circa sette chilometri a sud dell’Abbazia), dando vita al ramo femminile dell’Ordine Benedettino ed abbracciando la medesima Regula Benedicti. Una delle maggiori raccomandazioni di Scolastica era di osservare la regola del silenzio, e di evitare soprattutto la conversazione con persone estranee al monastero, anche se si dovesse trattare di persone devote che andavano a visitarle. Si narra che Ella diceva alle consorelle: «Tacete, o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne parlare?».

Il “trapasso” di Benedetto e la definizione del “dies natalis

Riproduzione di una miniatura del Sec. XI raffigurante la morte di Benedetto
La morte di Benedetto
(Montecassino, miniatura del secolo undicesimo)

Nel capitolo 37 del secondo volume dei Dialoghi, Gregorio Magno si sofferma sul passaggio all’eternità dell’«uomo di Dio».
«Nell’anno stesso in cui doveva morire, annunziò il giorno del suo beatissimo transito ai suoi discepoli, alcuni dei quali vivevano con lui ed altri stavano lontani. Ai presenti ordinò di custodire in silenzio questa notizia, ai lontani indicò esattamente quale segno li avrebbe avvisati che la sua anima si staccava dal corpo. Sei giorni prima della morte, si fece aprire la tomba. Assalito poi dalla febbre, cominciò ad essere prostrato da ardentissimo calore. Poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più grave, il sesto dì si fece trasportare dai discepoli nell’oratorio, ove si fortificò per il grande passaggio ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore. Sostenendo le sue membra, prive di forze, tra le braccia dei discepoli, in piedi, colle mani levate al cielo, tra le parole della preghiera, esalò l’ultimo respiro. In quel medesimo giorno, a due fratelli, uno dei quali stavo in monastero, l’altro fuori, apparve una identica visione.
Videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente di innumerevoli lampade, che dalla sua stanza volgendosi verso oriente si innalzava diritta verso il cielo. In cima si trovava un personaggio di aspetto venerando e raggiante di luce, che domandò loro di chi fosse la via che contemplavano. Confessavano di non saperlo. “Questa – disse egli – è la via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al cielo”. Così i presenti e i lontani videro e conobbero da quel segno predetto la morte del santo.
Fu sepolto nell’oratorio del Beato Giovanni Battista, oratorio che egli aveva edificato, dopo aver distrutto il tempio di Apollo.
E fino ai nostri giorni, se la fede degli oranti lo esige, egli risplende per miracoli anche in quello Speco di Subiaco, dove egli abitò nei primi tempi della sua vita religiosa.

Attilio Stendardi – nell’introduzione all’edizione del 1975 della Vita di San Benedetto e la Regola di Gregorio Magno – ricorda che: «circondato dai suoi monaci che ne sorreggevano le membra prostrate, attese il transito in piedi, pregando come Mosè, le mani levate al cielo. L’ora più solenne del Patriarca era suonata, e l’antichissima tradizione le ha anche assegnato una data: il 21 marzo del 547, poco tempo dopo l’entrata di Totila in Roma.
Ma anche qui, come per tutta la cronologia di Benedetto, il «forse» regna sovrano. Ed è impossibile tanto accennare qui alla lunga storia delle feste particolari di Benedetto in tutta Europa, come pure tentare una diversa ricostruzione anche approssimativa del suo dies natalis
».

Ma perché il “dies natalis” è stato fissato per il 21 marzo?

Per rispondere alla domanda merita di essere segnalato il bellissimo libro curato da Jacques Le Goff - il grande medievista scomparso recentemente – ed intitolato: «A la recherche du temps sacré. Jacques de Voragine et la Légende dorée» dedicato appunto alla rilettura della Legenda aurea, la raccolta della vita dei Santi scritta nel XIII secolo dal frate domenicano Jacopo da Varazze; suddivisa in “quattro tempora” (quattro tempi liturgici):

  • il tempo della deviazione, che va da Adamo a Mosè;
  • il tempo del rinnovamento, che va da Mosè alla nascita di Cristo;
  • il tempo della riconciliazione, tra Pasqua e la Pentecoste;
  • il tempo della peregrinazione, che è quello della “vita presente”;
  • restava uno “scarto” di tre settimane che vanno da Natale all’inizio della Quaresima.
Nella Legenda Aurea c’è un “tempo liturgico” particolare: «il tempo della deviazione».

Il tempo della deviazione è essenzialmente il tempo della Quaresima, il tempo dello “smarrimento”; esso corrisponde al periodo che va da Adamo a Mosè (dal momento che il peccato originale commesso da Adamo comporta una rottura alla quale Mosè non porrà che un rimedio parziale, in attesa della soluzione definitiva portata da Gesù).

Nella Legenda Aurea in questo particolare “tempo” trovano un posto importante due santi monaci:

  • San Benedetto in quanto “creatore del monachesimo occidentale” e
  • san Gregorio Magno “in ragione della sua importanza nella storia della Chiesa medievale”.
Soprattutto per questo motivo, nel martirologio romano, sin dalle origini la ricorrenza di San Benedetto era stata collocata il 21 marzo - il primo giorno di primavera e, quindi, coincidente con la rinascita dopo la fine dell’inverno -; la circostanza ha creato, però, qualche limitazione al festeggiamento della ricorrenza da parte di monaci in quanto la data cadeva nel periodo quaresimale.

Fotografia del timpano della Chiesa dell’Abbazia di Fleury sur Loire riproducente il trasferimento di parte delle 'ossa di san Benedetto' in Francia
Trasferimento di parte delle
"ossa di san Benedetto" in Francia
(bassorilievi del timpano della Chiesa
dell’Abbazia di Fleury sur Loire)

Perché la ricorrenza è stata spostata all’11 luglio?

Attilio Stendardi – nell’introduzione all’edizione del 1975 della Vita di San Benedetto e la Regola di Gregorio Magno – ricorda ancora che: «dal 1959, a Montecassino, si celebra l’11 luglio il Patrocinio di Benedetto e Scolastica, a seguito della ricognizione delle loro ossa e più a ricordo perenne della protezione da loro riversata sui monaci nel 1944. Soppressa oggi la festa del 21 marzo, quasi sempre ricorrente in piena Quaresima e quindi sottaciuta, la solennità dell’11 luglio ha varcato le soglie di quel monastero divenendo commemorazione di tutta la Chiesa, che venera Benedetto con suo Patriarca».

Questa decisione venne confermata nella esortazione apostolica Pacis Nuntius con la quale il Papa Paolo VI il 24 ottobre 1964 proclamava Benedetto da Norcia “patrono principale d’Europa”.

L’illuminato Pontefice – che da giovane avrebbe voluto divenire monaco benedettino – immaginava che il progetto europeo che si andava concretizzando avrebbe curato le proprie “radici cristiane” e che si sarebbe sviluppato in linea con l’esperienza e la cultura monastica occidentale come era accaduto nell’Alto Medio Evo. La realtà quotidiana dei cittadini che vivono nelle Nazio-ni europee è ben diversa, anzi è tutt’altra cosa.

Oggi San Benedetto è l’unico Santo – insieme con San Giovanni Battista – ad avere due festività; infatti, oltre al 21 marzo, l’altra data (divenuta quella “ufficiale”) è quella dell’11 luglio e coincide con l’anniversario della ricognizione delle reliquie del Santo avvenuta nel 1881 a Fleury sur Loire ospitate presso la chiesa di Saint Benoît sur Loire.

In molti scritti di studiosi viene ricordato che in realtà la nuova “data” fa riferimento all’11 luglio 660 che risulta essere “il giorno della traslazione in terra di Francia delle ossa dei Santi Benedetto e Scolastica” (per noi il verbo più corretto che andrebbe utilizzato è quello di “trafugamento”).

Molti testi riferiscono che tra il 577 ed il 589 i territori della penisola Italiana vennero invasi da orde barbariche che devastarono il fragile ambiente, le architetture e, ovviamente, le popolazioni, a partire dai religiosi.
Anche la sacra Abbazia di Montecassino venne devastata dai Longobardi – come, peraltro, predetto da Benedetto al monaco Teoprobo [Dialoghi, 2 – 17] – evento che costrinse la comunità monastica benedettina ad abbandonare frettolosamente il Cenobio ed a trasferirsi a Roma nella Basilica di San Gio-vanni in Laterano.

Molti scritti, tra cronache e leggende, narrano che l’Abbate Mummolus [settembre 632 – gennaio 663; divenuto poi san Mommolino] dopo aver riletto il Volume II dei Dialoghi di Gregorio Magno, inviò alcuni suoi monaci guidati da Aigulfo per recuperare le ossa di san Benedetto che sapeva solitarie e coperte dalle macerie dell’Abbazia di Montecassino.

Fotografia della statua di Santa Scolastica presso l’Abbazia di Montecassino
La statua di Santa Scolastica
presso l’Abbazia di Montecassino
Questi si incontrarono, attorno ai resti della tomba dei Santi gemelli, con una delegazione degli abitanti della città di Le Mans che voleva recuperare le ossa di santa Scolastica. Aigulfo portò di nascosto in un’unica cassa parte delle ossa dei due Santi e, successivamente, al rientro a Fleury insieme con l’Abate provvide ad operare la ricognizione e la suddivisione “miracolosa” delle reliquie dei due Santi (che avvenne, appunto, l’11 luglio 660).
Oggi parte delle sacre ossa di san Benedetto sono conservate presso l’Abbazia di Fleury a Saint Benoît sur Loire (in Francia, nella Diocesi di Orléans), mentre parte delle reliquie di Santa Scolastica sono ospitate nella Chiesa di Juvigny les Dames a Le Mans (nella Francia settentrionale), città della quale è la Patrona.

Sotto l’altare maggiore della Chiesa dell’Abbazia di Montecassino sono conservate – ancora insieme – parte delle ossa di san Benedetto e santa Scolastica.

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