San benedetto, scritta Arciconfraternita, Santa Scolastica

Reminiscenze di un allievo dell’ex Seminario di Norcia


PREMESSA
Si era nella seconda metà degli anni quaranta del novecento. Causa il tempo trascorso e la mia giovanissima età, forse non conservo completamente nitidi molti dei ricordi vissuti. Ovviamente anche i particolari legati al periodo della mia permanenza nell’ex Seminario Diocesano di Norcia li rammento parzialmente sfumati. Ho frequentato il Seminario diocesano di Norcia negli anni scolastici che vanno dal 1947 al 1950. Essere accolti nel Seminario significava svolgere l’attività scolastica e ricevere una educazione religiosa.

Studi privati e pubblici
I normali corsi scolastici di noi seminaristi, con le relative lezioni in classe e il doposcuola nella apposita “aula studio” si svolgevano all’interno del seminario. Fungevano da insegnanti gli stessi sacerdoti presenti nell’istituto in funzione di “superiori”. Allo scopo venivano designati dal Vescovo anche altri appartenenti al Clero scelti nell’ambito della stessa Diocesi per le loro particolari competenze e capacità d’insegnamento. Ricordo che negli ultimi due anni delle scuole elementari e nelle successive medie e ginnasio svolgevano attività didattica i seguenti sacerdoti:

  • Don Graziano Petrelli - aritmetica, geometria e matematica
  • Don Pasquale Severini - greco
  • Don Attilio Gervasoni - latino
  • Don Guido Falcucci - italiano
  • Don Giovanni Picchiorri - geografia e storia
  • Don Giovanni Organtini - disegno
  • Don Livio Tosti coadiuvato dall’allora seminarista adulto Elio Zocchi - musica

All’epoca vigeva l’obbligo per cui alla scadenza di terza e quinta elementare c’erano gli esami pubblici di ammissione alle classi superiori. Di conseguenza gli alunni che studiavano all’interno del seminario dovevano presentarsi presso le scuole statali di Norcia come privatisti esterni con l’obbligo di sostenere gli esami di idoneità. Io frequentai nel Seminario la quarta e quinta elementare e la prima media. Quando decisi di lasciare il Seminario per proseguire gli studi nelle scuole statali dovetti fare un esame integrativo per passare in seconda media. Quando finiva la scuola andavamo in vacanza dai “Frati vecchi” a circa 2 km da Norcia, in zona sopraelevata e a confine con un bel bosco.

La Struttura
Il vecchio convento, noto come “Frati vecchi” fu costruito nel secolo XVI in un sito sottostante la zona di monte Capregnola e per tre secoli ospitò la Comunità dei Frati Cappuccini fino a quando alla fine del secolo XIX non ne vennero espulsi.

Detto della ragione che determinò per l’antico Convento l’appellativo di “Frati vecchi” c’è da aggiungere che lo stesso era conosciuto con la denominazione di “Villa del Seminario” a seguito dell’ultimo utilizzo estivo che la Diocesi ne fece per vari decenni fin verso il 1960.

Il luogo dove sorge la “Villa” è stato frutto di una scelta assai oculata, sufficientemente isolato per garantire silenzio e predisporsi al raccoglimento e alla preghiera ma al tempo stesso non troppo lontano dal centro cittadino.

Il Convento era costituito da una Chiesa con Altare principale con coro, Cappelle laterali con pareti dipinte ed un campanile a vela. La parte conventuale era costituita da parecchie camere e vani, servizi ed un bel refettorio affrescato con una rappresentazione dell’Ultima Cena.

Il piazzale di ingresso era abbastanza ampio e c’era una tettoia sorretta da pilastrini che in dialetto locale era chiamato “trasanna” e che costituiva riparo in caso di pioggia.

Le ferie estive nella “Villa”
Quando arrivava l’estate ed il suo caldo noi seminaristi traslocavamo alla “Villa” con tutte le suppellettili e vettovaglie necessarie, per trascorrervi una buona parte del periodo estivo. I superiori ripetevano che presto saremmo andati in vacanza ed anche il Vescovo S.E. Mons. Settimio Peroni ci incoraggiava con il seguente ritornello “Dies irae dies illa anche i seminaristi vanno in Villa”. Il tutto produceva eccitazione sapendo che si sarebbe studiato poco e giocato molto sotto la sorveglianza del Rettore don Domenico Bonanni e del suo vice don Graziano Petrelli.

Molti degli allievi più piccoli accettavano a malincuore la vacanza obbligatoria che dopo tutto significava allontanarsi da Norcia di appena qualche chilometro (da fare a piedi, su strada bianca in forte salita). Era anche un disagio per il familiari che di tanto in tanto si portavano in visita ai figli dalle più remote frazioni della ex diocesi di Norcia.

L’incontro con i propri cari serviva pure per ricevere copiosi rifornimenti di cibarie che i superiori, in pieno dopoguerra, si guardavano bene dal farci respingere.

Il periodo di permanenza di noi seminaristi nella “Villa” era gradevole. Il luogo contribuiva a rendere rilassante il soggiorno. Non si soffriva mai troppo il caldo grazie all’altitudine (sui 800mt) sia allo stretto contatto con il retrostante bosco che insieme mitigavano la calura.

Il problema per i superiori era organizzare il trasferimento di una cinquantina di ragazzi, le relative suppellettili nonché le necessarie vettovaglie.

Per dette esigenze si utilizzavano “sterze”. Si trattava di carri aventi nel nome una lontana origine longobarda: realizzate quasi completamente in legno erano dotate di quattro-sei ruote ricoperte da spessi cerchioni in ferro, un efficiente sistema di guida e di sterzatura e un rudimentale impianto frenante. Avevano poi un lungo e comodo pianale con sponde, adattissimo a trasportare il tutto. Un paio di robusti cavalli o muli costituiva la forza motrice per il traino.

Completato il carico i proprietari delle sterze (Pierino Ottaviani, Dario e Angelo Accica) avviavano verso porta Maccarone le loro bestie in uno strano ordine: le sterze stracariche, i seminaristi in fila per due e quindi, in ordine gerarchico, il sagrestano, gli inservienti Gino e Tertulliano, due –tre suore, i sacerdoti ed infine il Vescovo con i ritardatari e i più piccoli. Dotato di bonomia e spiccato senso di humor S.E. Mons. Settimio Peroni, toscano verace di Fiesole, cercava con aneddoti e racconti di tenere alto il morale e quindi di non farci sentire la fatica.

Il viaggio durava un’oretta ma la carovana doveva sudare non poco essendo la strada in salita ripida. I carri, con il loro considerevole carico, avanzavano con continue variazioni di direzione e con grossa fatica per le povere bestie che dovevano trainarli. A questo punto entravano in azione anche i classici incitamenti a carico degli animali da tiro accompagnati, purtroppo, da non pochi colpi di frusta e da imprecazioni varie che il Vescovo cercava di coprire con il suo ritornello “Dies irae….”. Dopo scivolamenti di zoccolo e piegamenti a terra di qualche ginocchio ( con relativo sbandamento del carico) finalmente gli animali superavano l’ultimo tratto e facevano gli ultimi 100 metri finalmente in piano.

Per quanto riguarda l’organizzazione giornaliera del nostro soggiorno, potendo dedicare minor tempo allo studio, usufruivamo di spazi più ampi per le ricreazioni e per i giochi. Ed infatti esclusi gli impegni religiosi (Messa mattutina e funzione serale) c’erano intervalli di tempo sufficienti per dare libero sfogo alla nostra esuberanza con giochi all’aria aperta sia nel cortile che nei dintorni.

La “Villa risorge a nuova vita
Ho voluto raccontare alcuni episodi delle mie esperienze personali come testimonianza di una epoca, di un contesto storico. Ritengo possibile che qualche episodio di vita descritto possa essere rivissuto da parte dei giovani, novizi e monaci che, come tutti ci auguriamo possano al più presto far rivivere la struttura e risiedere nella nuova Abbazia che rinascerà sull’originario “Convento dei cappuccini”

Naturalmente auspico che ciò avvenga senza il dover affrontare tutte le peripezie e difficoltà che ci capitò di dover affrontare nei duri anni del secondo dopoguerra né i tanti disagi vissuti da altri nei decenni precedenti, considerate le condizioni di quei tempi ancora più grami.

Cesare Recchi

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