La benedizione delle case negli anni ’90
Oltre ad aspettare con trepidazione il giorno di Pasqua per aprire le uova (anche se poi qualcuno le apriva pure prima...) aspettavamo con maggiore gioia il periodo prepasquale, quando bisognava organizzarsi con il prete e con gli altri bambini del paese per andare a “benedire le case”. Quelle case che le mamme e le nonne, casalinghe a tempo pieno, pulivano con maggiore impegno proprio prima di pasqua perché “passava lu prete” ed anche quelle case di villeggiatura che noi vedevamo chiuse tutto l’inverno... e che Maddalena, Pasqualina o chi altro aveva le chiavi, ci aprivano, per dare la benedizione a quelle mura e a quella famiglia romana che era lontana, ma vicina col cuore.
Venivano fatti i gruppi, un gruppo per Ruscio di sopra ed un gruppo per Ruscio di sotto. In quei giorni, non vedevamo l’ora di uscire da scuola. Magari ci scappava pure qualche inevitabile bisticcio infantile sul pulmino, mentre tornavamo a casa, perché mai nessuno era troppo contento del giro di benedizioni che doveva fare. Mangiavamo a casa in fretta e poi tutti in Chiesa. In quegli anni a Sant’Antonio, perché la Madonna Addolorata era forse ancora chiusa per ristrutturazione. Tutti, bambini e bambine, indossavamo la cotta da chierichetti, crescendo poi ci andava stretta e allora ce le scambiavamo fra di noi, c’era chi ce l’aveva striminzita, chi corta, chi larga, chi “giusta giusta”, e poi alcune avevano sempre la lampo rotta.
A volte c’era anche chi rimaneva senza, e doveva girare “in borghese”. Facevamo quasi a gara per prenderne una, eravamo fieri di indossarla. Preparavamo e prendevamo tutto l’occorrente: una busta per mettere le caramelle e le cioccolate che ricevevamo nelle case, una scatoletta in cartone per le piccole donazioni in denaro, l’aspersorio, una ex bottiglietta di succo di frutta ben lavata contenente Acqua Santa di scorta per rifornire l’aspersorio, il libricino con le preghiere per la benedizione. Ognuno di noi era responsabilmente incaricato di tenere in mano uno degli oggetti utili.. ma puntualmente qualcuno dimenticava qualcosa in macchina o in giro per le case.
C’era anche chi doveva tenere in mano la “scoppoletta” del prete quando entravamo in casa, non era buona educazione tenerla in testa e allora il più sfortunato doveva prendersi cura di questo oggetto, a volte un po’ scomodo al tatto e all’odore (siamo innocentemente sinceri!!!), soprattutto se era stato indossato per tante ore di seguito.Ricevute le raccomandazioni di rito da parte di Don Angelo, si partiva. Lui si premurava che fossimo educati, che non facessimo confusione; magari in qualche casa dovevamo avere delle accortezze maggiori; in realtà eravamo talmente timidi che le sue indicazioni erano, forse, anche superflue, ma comunque dovute, e lui lo sapeva bene. Si saliva sulla sua macchina, forse una Opel grigia, non ricordiamo il modello, e forse neanche bene il marchio, ma ricordiamo come la chiamava lui: “Carolina”. Era una macchina piccola. Anche oggi la riconosceremmo fra cento altre macchine.
A volte, per poterci entrare tutti, ci stringevamo o ci mettevamo l’uno sopra all’altro.. poi su per la salita del Colle stentava un po’.. ma lui la incitava a non mollare.. “dai Carolina su che ce la fai”!!!! Ripensandoci ora, la macchina non stentava realmente, ma lui fingeva per regalarci un po’ di semplice divertimento.. e ci riusciva sempre! Solo a distanza di anni abbiamo capito quanto il Parroco che ci aveva battezzati, che poi ci ha dato la Prima Comunione e la Cresima, fosse preparato. Solo con gli occhi ed il pensiero di giovani adulti abbiamo capito quanto fosse intelligente la sua ironia; nulla di scontato, ma nemmeno di costruito; la sua battuta era sempre pronta, pungente e puntuale! Don Angelo rappresenta una di quelle figure che, un po’ come i nonni, immagini immortali e sempre fermi lì nello stesso posto dove li hai visti per una vita, magari vicino a Maria d’Aghituccia!
Al termine del giro era ormai notte ed anche freddo. Rientravamo in chiesa e vuotavamo sopra alla credenza in legno vicino all’altare, le buste con tutti i dolciumi e la scatolina con i soldi. Facevamo una giusta divisione del tipo “uno a me e uno a te” fra tutti quanti, senza mai litigare. Tornavamo a casa dove, fieri del lavoro svolto, mostravamo i piccoli guadagni della giornata a mamma e papà o a nonna e nonno, ma soprattutto tornavamo a casa con un cuore grande grande!!!!
Federica Agabiti & Irene Salamandra
da la Barrozza - Pasqua 2017 - anno XXVI n.1
Torna alla pagina delle Testimonianze